Per i 70 di storia, abbiamo voluto fare un salto nel digitale come Evoluzione del nostro marchio.
Con immenso piacere ed orgoglio, vi accogliamo e accompagniamo in questa nuova emozionante avventura.
Era il 1953 quando nonno Andrea, detto "Ndria i muzzuni", accoglieva col sorriso i propri clienti in quella che una volta era chiamata prima Cantina e poi "putìga", ma che in fondo era l'unico ritrovo del circondario (oltre alla Chiesa), dove le persone, parcheggiato il mezzo di trasporto di quei tempi, ossia il cavallo, si cibavano e sorseggiavano delle autentiche bontà.
"Caffè Dodaro dal 1953" oggi diventa anche e-commerce per venire incontro alle esigenze di tutti, mettendo a disposizione online prodotti di alta qualità, mantenendo sempre lo stesso garbo e autenticità di nonno Andrea, mamma Carolina e papà Emilio.
Una piccola grande storia lunga settant’anni
Andrea “i Muzzuni” (Andrìa in dialetto) fu un personaggio enigmatico, vissuto a cavallo del ventesimo secolo. Il soprannome, che era cosa comune all'epoca per distinguere le persone facilmente, lo ereditò dai suoi avi che avevano la pelle scura come un tizzone (da qui “muzzuni”), segnata dal lavoro pesante nei campi. Era un personaggio particolare, non solo per il soprannome, ma anche per il suo modo di vestire: spesso scalzo, con i pantaloni "abbazati" (cioè tirati su con i risvolti) e un cappello sempre in testa. Andrìa abitava vicino a un torrente d'acqua e come tutti i compagni di viaggio, faceva il contadino.
La sua forza e determinazione lo portavano ad accettare volentieri le sfide che la vita gli offriva. La sua figura imponente e la sua personalità decisa e risoluta lo resero un punto di riferimento essenziale per la sua comunità. Nonostante la sua fama di persona riservata, Andrìa i Muzzuni era sempre pronto ad aiutare chiunque avesse bisogno. La sua eredità, infatti, è ancora viva nella memoria del suo villaggio natale.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, emigrò in Argentina dove trovò lavoro per alcuni anni. Dopo il suo ritorno, essendo già esperto in materia di commercio, Andrìa vendeva tutta la merce prodotta dal suo orto con la sua "apiceddra" (il carretto a motore di una volta, chiamato Ape). Quando ancora tutte le case della zona erano costruite con terra e paglia, grazie alla sua abilità nell'arrangiarsi, costruì personalmente il primo magazzino della zona, in pietra, con l'obiettivo di fondare la prima cantina locale. Con la sua forza e la sua capacità di lavorare sodo, costruì la cantina vicino al torrente, utilizzando solo materiali che la natura gli offriva. Dopo diversi mesi di duro lavoro, nel 1953, la cantina fu finalmente pronta e Andrìa la inaugurò con una grande festa a cui parteciparono tutti i suoi parenti, amici e vicini.
Fin dal suo primo giorno di apertura, la cantina divenne un luogo di ritrovo importante per le persone dell’intorno, dove i clienti, passanti e amici si ritrovavano per gustare il vino prodotto da Andrìa e per assaporare i pochi ed essenziali alimenti del tempo, come le sarde salate, le olive, i lupini e i formaggi.
Divenne così famosa che per identificare la zona, la gente indicava spesso il ponte vicino come "Il ponte di Andrìa i Muzzuni". La cantina era frequentata da persone che arrivavano a cavallo, in bicicletta o con le loro "apiceddre" parcheggiate in fila lungo la strada. I cavalli e i muli venivano legati ad un ferro a forma di cavallo attaccato al muro esterno, sotto la maestosa ombra del tiglio gigante.
La Cantina di Andrìa i Muzzuni non era solo un luogo dove le persone potevano gustare cibi e bevande; era un luogo in cui le persone della comunità potevano riunirsi e condividere storie, risate e bei momenti. Era un'isola di serenità in un mondo difficile, complicato e soprattutto faticoso.
Non passò molto tempo prima che la cantina diventasse il cuore e l'anima della comunità, concorrendo in popolarità anche con la locale chiesa di San Francesco.
Erano gli anni ‘60 e la società cambiava velocemente. Ben presto anche la cantina si adeguò, iniziando infatti a vendere tutti i beni di primissima necessità come il sale in pietra, il petrolio per i lumini, i fiammiferi e poi le sigarette sfuse. Queste novità, giorno dopo giorno, trasformarono la cantina in una sorta di piccolo minimarket chiamata "putìga" (bottega in italiano, ma che non rende il profondo significato per quello che rappresentava in quei tempi).
La trasformazione della cantina in una "putìga" rappresentò un importante cambio di rotta per la comunità. Non era più solo un luogo dove si poteva gustare un bicchiere di vino e qualche stuzzichino, ma la cantina di Andrìa divenne il posto dove si poteva acquistare tutto ciò che serviva per la vita quotidiana.
Grazie al suo spirito imprenditoriale, in un'epoca di grandi cambiamenti, la decisione di Andrìa di trasformare la sua cantina in una "putìga" dimostrò la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti del tempo e di comprendere le esigenze della sua comunità.
La figlia di Andrìa, Carolina, aiutava nelle faccende del locale e pian piano volle subentrare nella gestione per dare una mano. Conobbe l’affascinante Emilio, si innamorarono e decisero di sposarsi. Fu una gioia per tutta la famiglia, ma come per tutti i giovani sposi squattrinati, dopo qualche tempo, dovettero partire per la Germania. La vita in questa nuova terra non fu facile per Carolina ed Emilio, ma grazie alla loro determinazione e perseveranza, riuscirono a guadagnare le lire necessarie a poter tornare finalmente a casa. Quando tornarono nella loro amata terra, furono ben felici di voler gestire il locale, sempre dietro lo sguardo attento e critico di Andrìa i Muzzuni, fiero e contento della loro scelta.
Ma non appena presero in mano l'attività, Carolina e Emilio si resero conto che c'era un grosso problema: l'attività era stata trascurata e avevano bisogno di un grande sforzo per riportarla in vita. Con la loro abilità e la loro determinazione, si misero al lavoro, giorno e notte, per far rivivere l'attività e a farla tornare fiorente come un tempo. E alla fine, con grande soddisfazione di Andrìa i Muzzuni, l'attività riprese vita e divenne ancora più prospera di prima.
Carolina ed Emilio avevano lavorato duramente per far crescere la loro piccola putìga, ampliando la gamma di prodotti venduti e diventando un punto anche commerciale per la comunità. Ma il loro successo non si fermò qui. Grazie alla loro perseveranza, alla nuova forza economica e alle nuove richieste di mercato, inserirono nel loro carnet di prodotti tante novità: oltre al sale e al cioccolato decisero di vendere il tanto atteso corredo (in dialetto “u corredo”), ossia la "dote" delle spose, quella che oggi viene chiamata lista nozze. Biancheria, piatti, bicchieri: tutto ciò che era necessario per la nascita di nuove famiglie si trovava alla putìga di Carolina. Questo gli permise di diventare il centro di riferimento per tutte le famiglie del circondario, anche perché, le credenze popolari di quei tempi dicevano che non avere la "dote" era visto come un motivo di disprezzo e di vergogna; ma grazie alla coppia di imprenditori, tutte le famiglie potevano soddisfare le loro esigenze. La piccola putìga iniziò quindi ad allargarsi, diventando un vero e proprio negozio di prestigio, in soli 60 metri quadrati! E così, tutte le famiglie del della zona e non solo, compravano da loro, rimanendo sempre soddisfatti della qualità dei materiali. La coppia riuscì a creare un'impresa solida e ben organizzata, che durò per generazioni e la loro storia dimostra come l'impegno e il coraggio possano portare al successo, anche in situazioni difficili.
Purtroppo queste gioie durarono poco: fu un incidente a spezzare questo clima di festa. Un giorno come un altro del 1981, Emilio prese il suo amato trattore che garantiva fonte di guadagno e iniziò la sua giornata lavorativa con lo stesso spirito propositivo di sempre. Accadde però quello che nessuno avrebbe immaginato e subì un gravissimo incidente. Il tam tam della notizia si diffuse come una tempesta; tutti accorsero in quel lembo di terreno scosceso, cercando di dare soccorso. Ben presto le lacrime di alcuni annunciarono la più triste verità: Emilio andò in cielo.
L'intera comunità fu scossa dalla tragica notizia, e per giorni il dolore e lo sgomento si diffusero come un'onda nell'aria. La morte di Emilio, figura rispettata e amata, lasciò un vuoto profondo nei cuori di tutti coloro che l'avevano conosciuto e gettò tutti quanti in uno stato di profondo dolore. Ma sebbene il suo corpo non fosse più con loro, il suo spirito e la sua eredità rimasero per sempre, come un faro che avrebbe continuato a guidare la famiglia, e di momenti bui ce ne furono! L'impatto della morte di Emilio fu così profondo da richiedere un periodo di lutto prolungato. I tristi giorni passavano uno dopo l’altro e la vita della moglie Carolina e dei suoi bambini cambiò radicalmente: il papà dei giovanissimi cinque figli non c’era più e nemmeno il forte lavoratore marito, un lungo lavorio di dolore accettazione, consolazione unito al duro impegno di tutti i giorni per mandare avanti attività e famiglia. In aggiunta, il lavoro con il trattore di Emilio che prima garantiva una fonte di guadagno esterna ora mancava, e i tempi erano diventati di colpo difficili. Mamma Carolina doveva rispondere alle sempre nuove domande dei figli, alle necessità delle piccole giovani donne e del giovanissimo Fabrizio che silenziosamente cresceva.
Ma nonostante il dolore, la memoria di Emilio rimase viva nel cuore di tutti e continua ancora oggi a rappresentare un modello di speranza e di perseveranza per tutti coloro che lo avevano conosciuto. Tutta la famiglia si unì ancora di più intorno a Carolina che continuò a gestire l'attività. Emilio fu molto amato per la sua natura gentile e di buoni propositi, quelli che lo conobbero e non solo si unirono intorno alla famiglia in lutto, offrendo il proprio sostegno e la propria solidarietà. Accadde spesso che clienti abituali e nuovi, vennero a fare acquisti anche da lontano, pronunciando: “Cumma Carolina, veniamo a comprare qui perché anche i figli di Emilio possano mangiare! Veniamo qui apposta”.
Questi fatti mostravano come la provvidenza divina agisse, e incoraggiati da questi segni Carolina portò avanti famiglia e azienda che si trasformò in un vero e proprio piccolo centro commerciale dei tempi.
In seguito, negli anni 2000, il figlio Fabrizio subentrò alla gestione dell'azienda e decise di rinnovarla completamente, stravolgendo il suo aspetto originale. Rimosse tutti gli elementi superati e quelli che col tempo erano diventati obsoleti o non erano più al passo col progresso moderno, trasformandolo in bar e tabaccheria, integrandone successivamente pizzeria, rosticceria, tavola calda, pasticceria, gelateria e anche altri servizi come scommesse sportive, Lottomatica, Sisal e altri ancora. Questa scelta si rivelò vincente e il business continuò a crescere, tanto che Fabrizio decise di trasferirsi nei nuovi locali vicini, alle famose “palazzine gialle”, mantenendo tutti i servizi che avevano reso famosa l'azienda di famiglia, e soprattutto garantendo sempre lo stesso sorriso, lo stesso amore e la stessa dedizione di nonno Andrìa, papà Emilio e mamma Carolina.
Il 70° anniversario dell'attività della famiglia Dodaro è un traguardo importante che verrà celebrato con un rinnovo di tutto il locale. Tuttavia, ciò che rende ancora più speciale questo evento è l'apertura di un sito internet e-commerce, segno dell'abilità della famiglia nel rimanere al passo con i tempi e di continuare a soddisfare le esigenze dei propri clienti. L'aggiunta dell'opzione di acquisto online dei prodotti tipici di alta qualità, come tartufi, olio, vino, profumi, rappresenta un passo avanti nella continua evoluzione del business e nel desiderio di fornire ai propri clienti la migliore esperienza possibile, dando spazio e priorità alle tante attività locali del nostro territorio, i nostri amici, per i buoni prodotti della nostra terra.